Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Dopo l’infelice parentesi di Pan, prescindibilissima nonché ennesima trasposizione delle avventure del ragazzo che non voleva crescere mai, il regista inglese Joe Wright sembra essere tornato in carreggiata con L’ora più buia, dramma storico incentrato sulle settimane iniziali di Winston Churchill alla guida della Gran Bretagna come Primo ministro, agli albori della Seconda Guerra Mondiale, quando l’ombra della svastica minacciava l’intera Europa.
10 maggio 1940, il 65enne Winston Churchill viene nominato Primo Ministro dal non troppo convinto Giorgio VI (il Re balbuziente de Il discorso del Re), imprimendo alla politica estera del Regno Unito un carattere intransigente rispetto a improbabili accordi di pace con Hitler, auspicati invece dal capo del Governo uscente Neville Chamberlain insieme a Lord Hallifax.
Per molti Churchill appare inadatto a ricoprire quel ruolo, soprattutto in un contesto tanto drammatico in cui gli gli Alleati continuano a raccogliere sconfitte contro le truppe naziste, l’intero esercito britannico è arenato in Francia e gli Stati Uniti non muovono ancora un dito. Mentre la minaccia di un’invasione del Regno Unito da parte delle forze di Hitler si fa sempre più reale e 300.000 soldati della Regina sono bloccati a Dunkirk, Churchill si trova a combattere contro i membri del proprio partito, dell’opposizione e con Re Giorgio VI per la salvezza del Paese e per mantenere la propria reputazione, già ampiamente compromessa dalla Campagna di Gallipoli, durante la Prima Guerra Mondiale e dall’andirivieni tra il Partito conservatore e quello liberale. Il governo preme per negoziare la pace con la Germania, ma Churchill è inflessibile: nessun negoziato con i nazisti.
L’ora più buia, a dire la verità in modo un po’ ruffiano, presenta Winston Churchill come un irrefrenabile brontolone con la bombetta e la battuta sempre pronta, perennemente accompagnato da un sigaro e un bicchiere di whisky. Una caratterizzazione irresistibile con cui è impossibile non empatizzare sin dal principio. Tutto il resto, ce lo mette Gary Oldman che compie un incredibile lavoro sul personaggio, bofonchiando e annuendo mentre cammina con un’andatura incerta tra i corridoi angusti del Parlamento. Nonostante siano stati diversi gli attori inglesi che hanno interpretato lo statista che salvò l’Europa dalla svastica (da Richard Burton ad Albert Finney, da Michael Gambon a Timothy Spall, John Lithgow e Brian Cox), la prova di Oldman appare l’unica davvero degna di nota. Quello che è riuscito a fare il make-up artist giapponese Kazuhiro Tsuji ha del portentoso, ma la grandezza di Oldman va cercata soprattutto nel suo essere credibile facendo a meno di facili scorciatoie interpretative gigionesche e appropriandosi una personalità tanto complessa e controversa come quella del Primo ministro inglese.
C’è però un altro motivo, oltre alla prova di Oldman giustamente premiato con un Golden Globe a cui si aggiungerà quasi certamente un Oscar, per cui L’ora più buia risulta degno di interesse, ovvero il suo essere il perfetto contraltare di Dunkirk, l’altra faccia del film di Christopher Nolan, mostrando che cosa succedeva in patria mentre i soldati inglesi aspettavano di essere salvati da un imminente massacro sulle coste francesi. Se nel film di Nolan c’era l’agonia dell’attesa, ne L’ora più buia troviamo la strategia e l’arte di argomentare in modo abile e persuasivo nelle stanze del potere da parte di Churchill. Per il resto, la regia di Wright procede con con pochi guizzi e un classicismo un po’ troppo rigido, se si escludono un paio di scelte di montaggio leggermente più ardite, colpa anche dello script del neozelandese Anthony McCarten (già autore de La teoria del tutto) dalla tenuta narrativa che a tratti vacilla, fino a prendere una deriva populista decisamente troppo marcata.
Buone le prove di Ben Mendelsohn nei panni di Re Giorgio VI e di Kristin Scott Thomas come Clementine Churchill, ma il cuore del film rimangono Oldman e la sua interpretazione ottenuta a suon di “sangue, fatica, lacrime e sudore“.
Voto 6,5
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Gary Oldman è uno straordinario Winston Churchill nel dramma storico di Joe Wright sui giorni che cambiarono le sorti dell’Europa.
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