Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Giuseppe Tornatore è sicuramente il più “esportabile” dei nostri registi. Il suo cinema fatto di colori sabbiosi, di visi segnati dal lavoro, e di bellezze mediterranee ha un certo piglio sul mercato americano. E non stupisce che Baarìa sia già considerato tra i favoriti per l’Oscar. Il regista siciliano torna così a raccontarci la sua terra, con un notevole budget a disposizione (ventotto milioni di euro)e con un nutrito cast di stelle.
Una famiglia siciliana viene raccontata attraverso tre generazioni: Cicco, suo figlio Peppino e suo nipote Pietro. Alternando le vicende private dei personaggi agli episodi storici e politici, la pellicola fa luce su sogni e delusioni di una comunità in provincia di Palermo (la Bagheria storpiata nel titolo) tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta del secolo scorso.
Una pellicola corale, delicata e sicuramente impegnata che non raggiunge però i livelli più alti toccati da Tornatore in altri fim (dalla poesia di Nuovo cinema Paradiso alla fresca ingenuità de La leggenda del pianista sull’oceano). La durata eccessiva appesantisce inevitabilmente la pellicola, che ricorda molto da vicino (forse troppo) la giordaniana meglio gioventù. Tuttavia gli scorci e i ritratti che Tornatore riesce ad isolare dal caotico affresco che ritrae, valgono ancora il prezzo del biglietto.
Voto: 7
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